Esistono molte diverse definizioni del fenomeno “ipnosi”. Dai soggetti che l’hanno sperimentata si ricavano testimonianze simili: “uno stato simile al dormiveglia”; “un rilassamento profondissimo”; “una sensazione di sospensione fuori dal tempo”.
La descrizione che utilizzo per spiegare il fenomeno ai miei soggetti è:
uno stato di grande rilassamento fisico e mentale, in cui il pensiero si concentrerà sulle esperienze da me suggerite.
Aggiungo sempre che si tratterà di un’esperienza piacevole ed intressante, al fine di fugare il sottile timore condiviso da quasi tutti i neofiti.
Come sempre accade quando ci si muove nel territorio della mente, la definizione e la spiegazione dei fenomeni dipendono dalla teoria adottata per rappresentare la psiche umana. Fino a quando la mente è rimasta una landa relativamente misteriosa, esplorabile da un solo viaggiatore alla volta e sulla cui esperienza soggettiva occorreva basarsi per ipotizzare le leggi che la governavano, il suo studio è stato oggetto di filosofi e umanisti. In tempi moderni, la psicoanalisi ha ipotizzato schematizzazioni della mente ancora piuttosto diffuse: termini come “io”, “super-io”, “inconscio”, “subcosciente” sono sopravvissuti agli autori che li coniarono. Tutt’oggi la definizione più diffusa dell’ipnosi deriva direttamente da Emile Coué (1857-1926), contemporaneo di Freud: l’ipnosi sarebbe un fenomeno di (auto)suggestione, in grado di consentire la comunicazione con la cosiddetta mente subcosciente o subconscio [1]. Il modello a cui si fa riferimento, tuttora molto menzionato, considerava la mente su due livelli: la mente cosciente (o mente critica), sede del pensiero analitico e razionale, e la mente subcosciente (o mente emotiva)1, sede delle emozioni e dell’immaginazione [3]. Secondo questo modello, la mente cosciente filtrerebbe le informazioni provenienti dal mondo esterno, trasmesse attraverso i sensi, effettuando una censura dei contenuti e proteggendo la vulnerabile mente subcosciente da eventuali informazioni nocive. La mente subcosciente, mancando di logica, tenderebbe a prendere per buona ogni informazione o suggerimento (leggi “suggestione”) proveniente dall’ambiente. Poiché, secondo questo modello, la mente subcosciente sarebbe il principale motore delle decisioni prese dall’individuo, se non fosse efficacemente difesa dal filtro critico operato dalla mente cosciente cadrebbe preda di ogni tipo di influenza esterna. L’ipnosi sarebbe in grado di mettere in stand-by la mente cosciente, consentendo l’invio di messaggi e informazioni alla mente subcosciente. Il meccanismo di disattivazione della mente cosciente, detto induzione, agirebbe grazie a risorse autogene dell’individuo, eventualmente con l’aiuto di una figura esterna (terapeuta o ipnotista, secondo il contesto).
Questa teoria venne ripresa da J.H. Schultz, autore del metodo del Training Autogeno, e da praticamente tutti gli autori successivi fino a Bandler e Grinder con la loro PNL (Programmazione Neuro-Linguistica). L’ipnosi viene descritta e spiegata nei termini di cui sopra da tutti i manuali aventi per autori ipnotisti di grido come Derren Brown, Anthony Jacquin, Jonathan Royle, noti al pubblico televisivo anglosassone per i loro spettacolari esperimenti “in diretta”. Persino moderni manuali di ipnosi per la sedazione clinica [4] fanno riferimento al modello sopra descritto, per quanto oggi superato. Sicuramente questa teoria, per quanto obsoleta, ha il vantaggio di essere relativamente semplice e di riuscire a fornire una spiegazione accettabile e in qualche modo familiare ai soggetti che vogliano sottoporsi a ipnosi. Vedremo che, paradossalmente, ciò influenza l’efficacia dell’ipnosi stessa.
Per una spiegazione aggiornata e plausibile dell’ipnosi occorre abbandonare la psicoanalisi e rivolgersi ai nuovi modelli della mente elaborati dalle neuroscienze alla luce delle recenti tecnologie di neuroimaging. Gli scanner a emissione di positroni e e la risonanza magnetica funzionale hanno, negli ultimi 20 anni, aperto una finestra sempre più estesa sul funzionamento del cervello. Queste macchine consentono la visualizzazione in tempo reale di gruppi di neuroni quando passano da uno stato quiescente ad uno stato di attività; è diventato quindi possibile lo studio strutturale e funzionale della “mente” in maniera oggettiva e ripetibile. L’approccio delle neuroscienze alla fenomenologia mentale è pragmatico e meccanicistico; siamo già lontani dai pittoreschi simbolismi di Freud e successori. Il moderno orientamento su come il cervello elabori i dati provenienti dall’ambiente sovverte le teorie precedenti. Fino a pochi anni fa si pensava che la percezione fosse un fenomeno lineare: il flusso di stimoli (in gergo informatico diremmo “dati”) provenienti dagli organi di senso sarebbe stato costantemente recepito ed elaborato dal cervello al fine di creare una rappresentazione dell’ambiente estremamente dettagliata ed in continuo aggiornamento. Questa teoria implica l’elaborazione continua di una spaventosa quantità di informazioni (è stato stimato che un singolo nervo ottico trasmetta circa 1,2 Mbyte di informazioni visive al secondo) [5]; che si tratti di un sistema poco efficiente e molto dispendioso in termini di capacità di calcolo risultò evidente dai numerosi tentativi di applicare lo stesso sistema nelle macchine. La “machine vision”, o visione artificiale, in grado di interpretare l’ambiente, è un ottimo banco di prova per le teorie sulla percezione; applicato ai computer, il sistema percettivo lineare si è dimostrato un fallimento.
Oggi si ritiene che il cervello adotti un sistema di percezione di tipo predittivo [6]. La nostra conoscenza del mondo avverrebbe tramite “modelli” predefiniti (o schemi, secondo la psicologia cognitiva) [7], archiviati nella memoria. Per “modello” non si intende solo un modello morfologico (una forma), ma anche un tipo di suono, o un percorso topografico, o un tipo di ambientazione. Avremmo a disposizione una vasta libreria di modelli, adatti alla maggior parte delle esperienze comuni. Lo scopo degli organi di senso sarebbe quindi molto ridimensionato, dovendo limitarsi a fornire informazioni per adeguare il modello alla realtà contingente del mondo esterno. Torneremo su questo meccanismo; Inizialmente un modello non potrà che essere imperfetto e basato su pochi elementi, ma con l’aggiunta di elementi nel tempo (con l'”esperienza”) tenderà a diventare sempre più aderente alla realtà. Questa teoria si dice “predittiva” perché il ricorso a modelli permette al cervello di sapere che cosa aspettarsi dal mondo. Alcuni modelli sarebbero innati, come ad esempio il modello della figura umana: i neonati sanno istintivamente distinguere e riconoscere le persone. Altri modelli si formerebbero con l’esperienza; da qui emerge l’importanza della ripetitività e dell’abitudine allo scopo di affinare il dettaglio dei modelli.
La magia dell’ipnosi è che è possibile evocare nel soggetto emozioni, scenari, situazioni, allucinazioni e alterazioni sensoriali. I meccanismi alla base di questi fenomeni sono sempre risultati piuttosto misteriosi persino tra gli addetti ai lavori; la teoria della percezione predittiva può fornire una base per meglio comprendere queste stranezze. L’ipnosi altro non sarebbe che un insieme di tecniche atte ad attivare nella mente del soggetto i modelli desiderati, promuovendo associazioni utili e consentendo l’esperienza di situazioni immaginarie ma molto realistiche e ricche di contenuto emotivo. Attraverso l’ipnosi la mappa mentale attraverso cui il soggetto percepisce il mondo esterno può essere modificata, con effetti temporanei o permanenti. Si tratta quindi di uno strumento molto versatile e potente; è pertanto molto importante padroneggiarne l’uso al fine di trarne il massimo vantaggio per il soggetto e ridurre al minimo i rischi.
- Coué, E. (1922), Self mastery through conscious autosuggestion. New York, Malkan publishing co., inc.
- Janet, P. (1889), L’Automatisme Psychologique. Paris, Ed. Alcan
- Freud, S. (1915), Introduzione alla Psicoanalisi. Torino, Ed. Sagittario
- Lang, E.; Laser, E. (2009), Patient sedation without medication – Rapid rapport and quick hypnosis techniques
- Bartlett, F.C. (1932),Remembering: An Experimental and Social Study. Cambridge: Cambridge University Press
- Holland, D. / Quinn, N. (Hg.) (1987): Cultural Models in Language and Thought. Cambridege-Mass.
- Firth, C. (2007), Making Up the Mind: how the brain creates our mental world. Blackwell Publishing
1Il termine “subcosciente”, per indicare i processi mentali che avvengono al di là della consapevolezza, venne coniato dallo psicologo francese Pierre Janet (1859-1947) [2]. In psicanalisi, il termine considerato più corretto è “inconscio”; tuttavia “subcosciente” viene maggiormente utilizzato in relazione con l’ipnosi.
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